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di Luigino Bruni
pubblicato su: Città Nuova n. 02/2012
Quando, dieci anni fa, entrammo nell’era dell’euro, l’evento fu accolto con grande entusiasmo, come l’inizio di una nuova stagione dell’Europa e del mondo. Un’unica moneta era un segno forte ed eloquente della volontà di unità. La scommessa era però che le economie degli Stati europei nel tempo avrebbero mostrato una convergenza, precondizione fondamentale perché la moneta unica esprimesse una economia sempre più una. A distanza di dieci anni, di fronte alla prima grande crisi della globalizzazione, ci siamo accorti che le istituzioni economiche create attorno all’euro erano troppo fragili, e così l’onda anomala dello tsunami partito dagli Usa nel 2008 ha travolto le troppo fragili istituzioni economiche e finanziarie.
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In questo contesto la grave crisi greca ha detto che il re (l’euro) era nudo. Gli attuali spread fra i rendimenti dei titoli della Germania e quelli degli altri Paesi a Sud in realtà indicano che per i mercati e per gli indicatori finanziari, oltre l’euro, esistono ancora le antiche monete nazionali e che gli spread sono una sorta di cambio ombra fra il marco e le altre monete che, sebbene scomparse per dar vita all’euro, sono ancora presenti e rappresentate dai diversi andamenti delle economie reali.
La scommessa e l’utopia di una moneta unica sono le uniche possibilità perché l’Europa abbia un futuro da protagonista nel mondo. Ma oggi sappiamo che un euro senza una vera volontà di dar vita a una maggior unità politica non ha futuro. Nessun Paese europeo (nemmeno la Germania) può ambire a un ruolo da protagonista nell’economia globalizzata senza un euro forte e senza un’Europa più politica.
È allora urgente dar vita a una banca europea forte che possa svolgere le funzioni tipiche di ogni banca centrale. Ma è ancora più urgente che l’Europa mostri più coraggio e più forza di pensiero, iniziando una nuova stagione dell’economia di mercato: ridimensionare il peso eccessivo della finanza nel mondo e generare un nuovo modello di sviluppo dove il mercato non domini il mondo ma sia a servizio del bene comune.
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Il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha presentato ieri la manovra economica di oltre 20 miliardi di euro che dovrebbe risollevare la situazione economica italiana e salvarla dal baratro del fallimento.
La manovra appena approvata punta a ridurre il deficit e magari a raggiungere presto il pareggio di bilancio. Se vogliamo che differenza uscite/entrate pubbliche sia zero (o meno di zero visto che dobbiamo rientrare da un incredibile debito pubblico), possiamo giocare sulle entrate, sulle uscite, o su tutte e due. Se, per un esempio, le uscite sono 120 e le entrate 100, se vogliamo portare il bilancio a pareggio possiamo ridurre le uscite di 20 o aumentare le entrate di 20 (o magari -10 e +10).
Dietro le crisi si nascondono spesso cose importanti, molte delle quali invisibili agli occhi di chi non sa vedere oltre le apparenze. Anche questa crisi economica, politica e sociale copre sfide di grande rilevanza per il futuro dell’Italia, dell’Europa e del capitalismo.
Dietro le crisi di questi tempi si nascondono cose importanti, forse troppo importanti perché se ne parli nei grandi media.
Molti di noi sono rimasti colpiti e preoccupati nel confrontare in questi giorni le piazze mediorientali dove i giovani sono scesi in strada, dando la vita, per chiedere democrazia e libertà, e le piazze inglesi dove i giovani spaccavano le vetrine per rubare telefonini e tv al plasma, segnali evidenti che in Occidente serpeggia un mal di vivere profondo e serio.
Si sta consumando una grande ingiustizia di massa, quella nei confronti degli anziani. La struttura tradizionale delle società occidentali fino a pochi decenni fa era basata su una regola di reciprocità: da adulti si donava assistenza ai nostri genitori, e una volta diventati vecchi si riceveva cura dai propri figli (che a loro volta avevano ricevuto cura dai genitori durante l’infanzia e la giovinezza).
Di tanto in tanto negli ultimi anni si riaccende il dibattito sui limiti del mercato. Si torna a chiedersi se sia giusto, opportuno e possibile creare mercati ufficiali e trasparenti per il traffico di organi, legalizzare la maternità surrogata commerciale, legalizzare la prostituzione, ecc.
Uno dei grandi pilastri dell’economia di mercato, in particolare del mercato del lavoro, è l’idea che l’impresa non compra persone ma ore di lavoro. Ecco perché “il mercato” del lavoro è stato ed è considerato un mercato particolare: da una parte il lavoro non è una merce, ma dall’altra la prestazione lavorativa risente e sottostà alla legge della domanda e dell’offerta. Da qui l’importanza che in ogni Paese è stata attribuita alle mediazioni sociali (sindacati) e politiche in questo mercato.
Qualche giorno fa, a Milano, salgo sul taxi e mi viene chiesto: «Ha viaggiato bene? Da dove arriva? Come sta?». Confesso che queste domande mi hanno sorpreso, perché non mi era mai capitato che un tassista si interessasse di me.
È da un po’ di tempo che si discute attorno all’articolo 41 della Costituzione italiana, che recita: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
L’igiene è un problema serio in ogni ospedale, che diventa cruciale quando si ha a che fare con terapie intensive neonatali. In un ospedale milanese un primario ha avuto l’idea di aumentare l’igiene degli infermieri piazzando delle telecamere nei lavandini e premiando con tre mila euro l’anno quegli infermieri che si lavano spesso e bene (un minuto) le mani. E i dati sembrano dargli ragione, poiché alcune malattie (la sepsi, in particolare) sono diminuite dal dieci al sette per cento.
