Fondata sul lavoro

Fondata sul lavoro

I padri costituenti volevano sottolineare che la Repubblica non era più fondata su privilegi del sangue né su titoli nobiliari, ma sul lavoro, la vera base di ogni democrazia.

di Luigino Bruni

pubblicato su Citta Nuova n.11/2012 del 10 giugno 2012

operai_in_fabbrica«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Così apre la Costituzione italiana. A distanza di quasi settant’anni da quando quelle parole furono scritte, sono ancora vere, reali? Non credo, o lo sono molto, troppo, meno. Nel fondare la nuova Italia sul lavoro, i padri costituenti volevano sottolineare che la Repubblica non era più fondata sui privilegi del sangue né sui titoli nobiliari, ma sul lavoro e sul lavorare, che è la prima e vera base di ogni democrazia.

E per qualche decennio l’Italia, l’Europa e l’Occidente hanno conosciuto una espansione dell’uguaglianza, proprio grazie al lavoro: abbiamo costruito, lavorando e con la fatica, una Italia con meno privilegi e caste: il boom economico degli anni Cinquanta-Settanta è stato anche un boom democratico, dei diritti e delle libertà.

Dalla fine degli anni Ottanta, però, questo trend di crescita della democrazia si è arrestato, e la causa è stata soprattutto una eccessiva e insostenibile crescita della finanza in rapporto all’economia reale. Per un paio di decenni questa finanziarizzazione del mondo ha consentito all’Europa e agli Usa di continuare a crescere nonostante le economie reali non crescessero più, e ad un tasso pazzesco, maggiore di quello che l’Europa ha conosciuto durante la prima rivoluzione industriale.

Il 15 settembre del 2008 ha segnato la fine di questa crescita dopata e sbagliata, e ci siamo accorti che in quei due decenni di crescita finanziaria l’Italia e l’Europa erano tornate molto indietro sul piano dell’uguaglianza, e quindi della democrazia e del lavoro. Di nuovo le rendite (finanziarie, delle caste, dei manager, delle banche) sono tornate al centro della scena, dove non c’è più né il lavoro né tantomeno la fabbrica.

Oggi l’asse del conflitto sociale non è più dentro l’economia reale (lavoratori contro padroni) ma tra l’intero mondo del lavoro che soffre tutto (imprenditori insieme ai lavoratori) e il mondo delle rendite (non tassate), che hanno in mano il mondo, la non-democrazia, il lavoro. Le morti di lavoratori sotto le macerie, i suicidi degli imprenditori ci vogliono anche dire che dobbiamo rifondare l’Italia sul lavoro.


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