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di Luigino Bruni
pubblicato su
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Città Nuova
(76 KB)
n.11/2017
In questo tempo di nuove e grandi migrazioni, dobbiamo imparare, tutti, a leggere questi fenomeni con le categorie giuste e poi agire di conseguenza. In genere, le persone ben disposte verso il grande valore dell’accoglienza, si fermano troppo presto e in superficie. Si fa riferimento, ad esempio, all’esperienza di migranti dei nostri nonni in Europa o in America, e si dice: dobbiamo essere accoglienti con i migranti perché in un passato recente siamo stati migranti anche noi. Si cita, poi, l’accoglienza del forestiero come un principio di tutte le grandi civiltà del passato, scritto nei libri sacri delle religioni. L’ospite è sacro, va accolto e onorato.
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Polifemo è condannato dalla cultura mitica greca perché invece di accogliere i suoi ospiti li divora. Nella Bibbia Abramo e Sarah accolgono i tre uomini nelle querce di Manre, questi gli annunciano l’arrivo di Isacco, figlio della promessa. Quei tre uomini, poi, continuano il viaggio e arrivano a Sodoma, dove invece dell’accoglienza trovano la morte, e per questo quella città diventa maledetta. E nella lettera agli Ebrei, un culmine del Nuovo testamento, troviamo una delle frasi più belle: «Siate accoglienti con gli ospiti, alcuni hanno accolto degli angeli senza saperlo».
Altre volte, poi, si attivano i registri della compassione e della pietas umana, e il nostro cuore è colpito e commosso dalle scene di sofferenza che circondano molte esperienze di migranti. Valori, principi e sentimenti nobili e buoni, che però non sono sufficienti per creare una cultura condivisa e sostenibile dell’accoglienza. Le emozioni, il ricordo, l’invocare antichi principi, sono troppo fragili, e manipolabili dalla pubblica opinione, oggi più che mai aggressiva, ideologica, e miope. Cosa manca allora alla nostra narrativa delle migrazioni? Il grande principio di reciprocità e del mutuo vantaggio.
Quando i nostri nonni giunsero in America o in Belgio, arricchirono quei Paesi e, al tempo stesso, fecero migliori sé stessi e le loro famiglie. Non c’erano grandi associazioni di accoglienza, ma quei migranti operarono autentici miracoli civili ed economici semplicemente lavorando, facendo imprese, cooperando con la gente del luogo per un mutuo vantaggio. Senza vedere le persone che giungono da noi come potenziali partner di lavoro e di vita civile, i sentimenti, seppur buoni, non producono un legame abbastanza robusto per reggere di fronte alle inevitabili difficoltà di ogni accoglienza vera. Perché la corda della reciprocità e del mutuo vantaggio, oltre ad essere più dignitosa e rispettosa per tutti, è molto più forte delle corde dei sentimenti, dei ricordi e dell’emotività. Non dovremmo sentirci generosi o più buoni di chi accogliamo, dovremmo solo leggere nel volto dell’altro i segni di un alleato che può aiutare anche noi. Tra l’altro, il principio di accoglienza delle società passate era basato anche sulla razionalità e sull’interesse di lungo periodo: in società ancora in parte nobili e migranti, tutti potevano trovarsi nella condizioni di migrante, e quindi porre la legge di accoglienza del forestiero a pietra angolare “conveniva” a tutti: all’altro, a noi, ai suoi figli, ai nostri figli. La cooperazione, poi, porta frutti se le persone che cooperano sono diverse: senza biodiversità la cooperazione civile e commerciale è piccola. In un mondo di persone troppo simili il mercato serve poco.
Nella Bibbia, poi, troviamo anche parole importanti rivolte alle comunità migranti, che si trovano a vivere in un altro Paese. Il profeta Geremia scrisse una splendida lettera ai deportati in Babilonia. Il contesto era molto diverso, ma le sue parole sembrano scritte anche per i migranti che arrivano in un altro Paese. Scriveva: «Costruite case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie, scegliete mogli per i figli e maritate le figlie… Lì moltiplicatevi e non diminuite» (29, 1-6).
Parole che ci lasciano ancora tramortiti per la loro forza e bellezza. Edificare case.
Sposarsi, fare figli, piantare orti. Quindi amare e lavorare. Nelle migrazioni, la paura del presente e del futuro e il dolore del passato iniziavano a svanire non appena cominciavano a lavorare. Lavorando fiorisce quella solidarietà-fraternità vera tra lavoratori parlanti lingue diverse, che però possono parlare tra di loro con le mani e con le lacrime e il sudore del lavoro.
L’amicizia con i nuovi immigrati può nascere e rinascere se e dove riusciamo a lavorare insieme.
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In questo tempo di nuove e grandi migrazioni, dobbiamo imparare, tutti, a leggere questi fenomeni con le categorie giuste e poi agire di conseguenza. In genere, le persone ben disposte verso il grande valore dell’accoglienza, si fermano troppo presto e in superficie. Si fa riferimento, ad esempio, all’esperienza di migranti dei nostri nonni in Europa o in America, e si dice: dobbiamo essere accoglienti con i migranti perché in un passato recente siamo stati migranti anche noi. Si cita, poi, l’accoglienza del forestiero come un principio di tutte le grandi civiltà del passato, scritto nei libri sacri delle religioni. L’ospite è sacro, va accolto e onorato.
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In un mio recente viaggio in India, ho conosciuto un economista del Sud dell’India che mi ha spiegato una delle leggi fondamentali dell’economia gandhiana.
L’articolo 75 della nostra costituzione vieta il referendum abrogativo in materia tributaria e di bilancio. E la spiegazione è semplice e di normale buon senso: se chiedi alla gente di pagare meno tasse o di non pagarle affatto, avrai una alta percentuale di persone che dirà: certo! Non tutti, perché c’è sempre stata e c’è una minoranza che cerca anche gli interessi degli altri insieme ai propri, ma queste minoranze non riescono in genere a diventare maggioranza, tranne pochi momenti decisivi della storia, quando, dopo i grandi dolori, la gente diventa diversa, per un po’ di tempo, e scrive le grandi costituzione, e scopre la fraternità.
Quest’anno sono i 250 anni dalla pubblicazione delle Lezioni di Economia Civile di Antonio Genovesi, il più importante trattato della tradizione dell’Economia civile. Gli anniversari sono utili se consentono di andare indietro per andare avanti, come nel gioco del rugby. Tornare a Genovesi potrebbe consentire all’Italia e all’Europa di oggi di andare davvero avanti, e nella direzione giusta.
Perché, nonostante tutta l’informazione sull’alimentazione, sugli stili di vita, sulle conseguenze dei nostri comportamenti per il presente e il futuro del pianeta, continuiamo ad inquinare molto con auto e riscaldamenti, ma anche a mangiare male, troppo, e a non fare abbastanza attività fisica? È, infatti, più semplice capire perché non riusciamo a rinunciare all’aria condizionata e all’auto privata. È un tipico caso dove il beneficio privato (comfort) prevale sul beneficio pubblico (riscaldamento del pianeta).
«Ero giovane, e mi hai dato lavoro», «ero anziana sola e mi hai visitato». Vengono alla mente e al cuore nuove opere di misericordia leggendo e studiando il bel Rapporto annuale Istat 2017: la condizione del Paese. La disoccupazione giovanile, la solitudine e la vulnerabilità economica delle donne anziane, e poi il lavoro nel Sud e nelle Isole, il bassissimo tasso di natalità sono le grandi ferite del nostro Paese. Tra il «2008 e il 2017 la popolazione italiana residente di età compresa tra i 18 e i 34 anni è diminuita di 1,1 milioni» (p. 97), e se non avessimo avuto circa 400 mila giovani arrivati dall’estero, la perdita di giovani avrebbe superato il milione e mezzo.
mi interessano soprattutto le idee, che sono però intrecciate con tutto il resto, come nella vita. Per questo da qualche tempo mi occupo anche di temi come felicità, dono, idealità, passioni, carismi e organizzazioni a movente ideale. Ogni tanto nella vita bisogna essere capaci di ricominciare. Ho appena pubblicato un libretto intitolato La felicità è troppo poco (Pacini Editore): questo vale anche per l’economia. Non si può pensare che la scienza economica sia sufficiente da sola per capire il mondo. La vita è bella perché esistono le soprese. Anche nel lavoro.
La dimensione religiosa del capitalismo non è cosa nuova. Prima che Max Weber o Carl Marx ce lo dicessero chiaramente, e ciascuno a modo suo, all’inizio dell’800 il francese Claude-Henri de Saint-Simon immaginò e realizzò una vera e propria religione degli imprenditori, dei capitalisti e della scienza, che ebbe un notevole successo e adepti in tutta Europa. In una sua famosa lettera scriveva: «La notte scorsa ho udito queste parole: “Roma rinuncerà alla pretesa di essere il centro della mia chiesa; il papa, i cardinali, i vescovi e i preti cesseranno di parlare in mio nome … Sappi che Io ho fatto sedere Newton al mio fianco e gli ho affidato la direzione dell’intelligenza umana e la guida degli abitanti di tutti i pianeti…
Il nostro rapporto con la gratuità presenta un elemento paradossale. Siamo circondati dalla gratuità, siamo inondati da essa. La natura, il cielo, il sole, la pioggia, la neve, la primavera, i boschi, l’aria, l’arte, la bellezza delle città, dei palazzi e delle chiese che abitiamo senza averle costruite, l’irrompere dell’amore, la nostra stessa esistenza, un grembo materno, Dio. Ma in un mondo stracolmo di gratuità, gli esseri umani non riescono a resistere alla tendenza- tentazione di costruire sistemi idolatrici e quindi senza gratuità, dove ogni cosa ha il suo prezzo. Oggi più di ieri, molto di più, perché diversamente dal capitalismo del Novecento, che ancora presentava tratti dell’etica cristiana e biblica del lavoro e dell’impresa, il capitalismo finanziario e consumista del nostro tempo ha cancellato oltre due millenni di cultura per tornare ai riti e ai culti pagani e idolatrici dei popoli del Medio Oriente o del bacino del Mediterraneo. Lo vediamo nei nuovi templi del dio-consumo, lo vediamo nel culto meritocratico delle imprese, che non è altro che una riedizione degli antichi sacrifici pagani.
La diseguaglianza è la condizione naturale degli esseri umani (e di molti animali), perché i talenti che ciascuno riceve arrivando sulla terra sono diversi da quelli degli altri. Il grande economista italiano Vilfredo Pareto, alla fine dell’800 dimostrò che le diseguaglianze nei redditi rispondono a leggi distributive simili in tutte le società perché legate alle intelligenze diseguali, e, in quanto naturali, dovevamo semplicemente accettarle come un dato di natura.
Sulla nostra terra ci sono capitali che stanno crescendo e ce ne sono altri che si stanno gravemente e seriamente deteriorando. Il consumo dei capitali ambientali è sempre più evidente e, sebbene con grande ritardo, stiamo iniziando a prenderne coscienza collettivamente. Non abbiamo, però, ancora preso sul serio la distruzione di massa del capitale spirituale della nostra civiltà. I nostri figli stanno crescendo più ricchi di inglese, di internet, di informazioni, ma si stanno drammaticamente impoverendo di vita interiore, di capitale spirituale. C’è un ‘effetto serra dell’anima’ che ci sta asfissiando, e l’aspetto più grave è la mancanza di consapevolezza pubblica. Ci stiamo progressivamente abituando a vivere dentro la serra, inserrati nell’anima, a confondere i teloni di plastica azzurra con il cielo.
Il 2016 è stato il 500° anniversario de L’Utopia di Thomas More. Un libro scritto in un momento di grande crisi politica e spirituale dell’Europa, quando la scoperta del nuovo mondo iniziava a mandare in crisi il vecchio, che nel mezzo dello splendore del Rinascimento mostrava già i primi segni di decadenza – come sempre, la decadenza inizia nel momento del massimo successo. Non è raro che siano i tempi di crisi a produrre grandi speranze, i desideri più grandi (de-sidera, cioè mancanza delle stelle, e brama di tornare a rivederle al termine della notte).
Non è facile capire che cosa sta avvenendo veramente nel crescente fenomeno della cosiddetta sharing economy, economia della condivisione. Anche perché sotto questa l’espressione si raccolgono esperienze molto varie, a volte troppo varie.
Nelle grandi imprese del nostro tempo sta crescendo velocemente l’attenzione alla gestione delle emozioni. Le organizzazioni economiche iniziano ad avvertire d’istinto che stiamo dentro una profonda trasformazione antropologica, e cercano, come possono, di trovare le soluzioni. Il capitalismo, per la sua capacità di anticipare i bisogni e i desideri, sta comprendendo che nel nostro tempo c’è un oceano di solitudini, di carestie di attenzione e di tenerezza, di mancanza di stima e di riconoscimento, di bisogno di essere visti e amati, dalle dimensioni inedite e immense. E si sta attrezzando per soddisfare anche questa ‘domanda’ dei nuovi mercati.