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di Luigino Bruni
pubblicato su Sussidiario.net il 12/03/2014
 Un certo capitalismo, quello che abbiamo conosciuto prima della globalizzazione, è morto per sempre, ma lo spirito del capitalismo è vivo; si è solo trasformato, e continua a soffiare forte sulla terra.
Un certo capitalismo, quello che abbiamo conosciuto prima della globalizzazione, è morto per sempre, ma lo spirito del capitalismo è vivo; si è solo trasformato, e continua a soffiare forte sulla terra.
La crisi finanziaria del 2007 è stata l’esplosione di un processo iniziato almeno a partire dagli anni ottanta del secolo XX, ma è un punto di non ritorno.
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Se vogliamo, allora, capire che cosa sta accadendo al nostro mondo (e quindi al nostro capitalismo), dobbiamo prendere coscienza che siamo dentro una profonda trasformazione che ci porterà altrove, della quale si intravvedono già primi segnali – la ‘nuova ecologia politica’ e i nuovi indicatori di benessere; il convivialismo e nuovi stili di vita attorno ai beni comuni (dal quale viene esclusa la ‘decrescita’, verso la quale si intravvede nel libro una certa diffidenza); l'economia della contribuzione teorizzata da Bernard Stiegler; la generatività tipicamente italiana di cui è capofila lo stesso Magatti.
Questi segnali vanno interpretati non come eccezioni ad una regola (quella del capitalismo di ieri), ma come primizie di un nuovo raccolto, che potrà essere, per gli autori, anche più buono e “prospero” di quelli che abbiamo conosciuto. L’avvento di quello che chiamano ‘capitalismo a valore contestuale’.
È questa la tesi del libro di Magatti e Gherardi, un libro che va letto soprattutto per le grandi domande che pone, e poi per le prospettive che apre – e anche per domande che non pone direttamente, ma che ci suscita. Prendendo le mosse da un classico come Max Weber (“L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”) e dal più recente trattato dei sociologi francesi Luc Boltansky e Eve Chiapello (“Il nuovo spirito del capitalismo”), Magatti e Gherardi ci dicono che il moderno spirito del capitalismo è costituito soprattutto dalla sua capacità di riciclare le critiche che ha incontrato lungo la sua storia (recente), inglobarle e farle diventare principali fattori di cambiamento e di innovazioni. Così, le critiche “sociali” (socialiste, comuniste, operaie, ambientaliste …) e quelle “estetiche” (degli intellettuali, dei creativi, degli artisti), invece di provocare il crollo del capitalismo, sono state incorporate dando vita ad nuovo capitalismo. Così un capitalismo fondato su valori che erano visti, nel Novecento, in antitesi ad altri valori diversi e non riconducibili ad unum (libertà vs eguaglianza; efficienza vs equità; sviluppo vs ambiente; quantità vs qualità; standardizzazione vs creatività; consumo vs spiritualità; ecc.), negli ultimi decenni si è mostrato capace di riciclare e sciogliere molte di queste antitesi. Così nelle imprese, soprattutto in quelle grandi, assistiamo sempre più allo sviluppo di bilanci sociali, di social business, di attenzione al benessere lavorativo, alle pratiche di attenzione alle pari opportunità di genere, fino ai recenti concetti di ‘capitale simbolico” o “spirituale’ dell’azienda. Parallelamente all’inclusione e trasformazione delle critiche sociali, questo capitalismo ha internalizzato anche le critiche “estetiche”, dato vita ad una nuova stagione creativa mettendo al centro proprio la figura del “creativo” (nel web e non solo).
Gherardi e Magatti riprendono questa tesi di Boltansky-Chiapello, ma la estendono e sviluppano, anche perché l’analisi dei due sociologi francesi si era fermata al pre-rivoluzione finanziaria dell’economia (anni 90’) – e qui sta il punto, solo in parte sviluppato da Magatti e Gherardi –, quando il nostro capitalismo ha mutato pelle e forse natura.
Hic rodhus, hic salta. Se guardiamo bene questo processo di ‘internalizzazione’ delle critiche, questo non è molto diverso, nella sua logica, da quanto è accaduto con gli altri grandi imperi della storia (si pensi in particolare all’impero romano) che sono cresciuti e sono durati secoli proprio per aver incorporato i ‘nemici’ che premevano alle frontiere, e poi prendere da loro (dagli etruschi ai greci ai popoli germanici) la migliore cultura, tecnica, arte. Quindi, in altre parole, la capacità inclusiva e riciclante del capitalismo, il suo essere una sorta ‘mostro’ camaleontico che cambia forma in base all’ambiente e agli ostacoli che trova, non è altro che il suo essere molto più di una forma di produzione di ricchezza e di consumo della stessa, una natura globale, imperiale e inglobante del capitalismo già intuita dallo stesso Marx e dal marxismo. Gli imperi assicurano panem et circenses ad una parte dei popoli che ingloba, ma un’altra parte li fa schiavi, e un’altra la uccide nel processo di conquista.
Per questa ragione trovo rilevante e centrale l’enfasi posta dagli autori sulla diseguaglianza, indicata come una malattia che questo capitalismo non riesce né a inglobare né tantomeno a guarire. Infatti, mentre la prima economia di mercato e il primo capitalismo (XVIII-XX secoli) hanno veramente ridotto la diseguaglianza, e combattuto indirettamente le varie forme di feudalesimo, il capitalismo finanziario o “tecno nichilista” (Magatti) sta riportando la nostra economia ad una situazione molto simile a quella pre-moderna, perché sta riportando la centralità sulle rendite (e non sui flussi, tra i quali il lavoro e i profitti), che è la tipica nota di ogni società feudale. Come un altro francese, Thomas Piketty (economista), ha messo in luce nel suo ultimo grande (e grosso) volume “Le Capital au XXIe siècle”, la rendita sui capitali sta tornando ad essere la grande minaccia del nostro capitalismo, esattamente come prima del secolo XX. Quando, infatti, il tasso di rendimento del capitale supera significativamente e per lungo tempo il tasso di crescita, i patrimoni provenienti dal passato si ricapitalizzino più velocemente dell’aumento della produzione e dei redditi. In altre parole, le rendite mangiano i profitti e i salari – come messo in luce nel passato da autori come l’inglese Ricardo, e l’italiano dimenticato Achille Loria. Così il conflitto fondamentale della società diventa non quello dentro la fabbrica (imprenditore-lavoratore) ma quello tra redditieri e il mondo dell’impresa nel suo insieme (lavoro e imprenditori).
Infine, che il capitalismo abbia bisogno di uno ‘spirito’ lo aveva capito non solo Max Weber all’inizio del Novecento, ma molti altri autori, tra i quali il nostro Amintore Fanfani, uno storico economico oggi da rivalutare. Lo stesso Weber, e poi il filosofo Walter Benjamin, si erano spinti ancora più avanti, arrivando a sostenere che il capitalismo fosse una vera e propria religione: “nel capitalismo bisogna scorgervi una religione, perché nella sua essenza esso serve a soddisfare quelle medesime preoccupazioni, quei tormenti, quelle inquietudini, cui in passato davano risposta le cosiddette religioni. … In Occidente, il capitalismo si è sviluppato parassitariamente sul cristianesimo” (Il Capitalismo come religione, 1921). E con capacità profetica aggiungeva: “In futuro ne avremo una visione complessiva”.
Oggi infatti il capitalismo finanziario si trova difronte al rischio di diventare il ‘sistema di Polifemo”, che non inglobava gli ospiti, ma li divora. Il dominio della rendita sui flussi di lavoro e di reddito (e quindi la diminuzione degli investimenti nelle imprese), se esteso su scala globale può portarci in un mondo dove la disoccupazione di grandi masse di cittadini può diventare una condizione stabile per 1/3 della popolazione mondiale. E la domanda cruciale diventa come si comporterà questo terzo: come Ulisse?
Ovviamente, la visione di Magatti e Gherardi si muove in una prospettiva generativa di speranza, ma non per questo può evitarci di porci anche queste altre domande difficili.
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pubblicato su Sussidiario.net il 12/03/2014
 Un certo capitalismo, quello che abbiamo conosciuto prima della globalizzazione, è morto per sempre, ma lo spirito del capitalismo è vivo; si è solo trasformato, e continua a soffiare forte sulla terra.
Un certo capitalismo, quello che abbiamo conosciuto prima della globalizzazione, è morto per sempre, ma lo spirito del capitalismo è vivo; si è solo trasformato, e continua a soffiare forte sulla terra.
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 Di fronte alla certificazione dell’Istat che il Pil umano o, più precisamente, la capacità di generare reddito delle donne è tanto scarsa che “un’italiana vale metà di un uomo”, Luigino Bruni professore ordinario di Economia Politica alla Lumsa di Roma non ha dubbi.
Di fronte alla certificazione dell’Istat che il Pil umano o, più precisamente, la capacità di generare reddito delle donne è tanto scarsa che “un’italiana vale metà di un uomo”, Luigino Bruni professore ordinario di Economia Politica alla Lumsa di Roma non ha dubbi. Questa riflessione non vuole essere un'analisi sistematica dei tanti passaggi economici dell'esortazione pontificia, ma l'individuazione di alcune piste di riflessione. Finora economisti ed esperti si sono soffermati su aspetti marginali, senza prendere sul serio la forza dirompente della denuncia e della profezia contenuta nel documento.
Questa riflessione non vuole essere un'analisi sistematica dei tanti passaggi economici dell'esortazione pontificia, ma l'individuazione di alcune piste di riflessione. Finora economisti ed esperti si sono soffermati su aspetti marginali, senza prendere sul serio la forza dirompente della denuncia e della profezia contenuta nel documento. Abbattere le tasse sul lavoro si può, ma è più facile a dirsi che a farsi. Anche per il governo Letta. E perché sia così difficile ridurre il peso del fisco in Italia lo spiega a tempi.it Luigino Bruni, economista ed editorialista di Avvenire, chiarendo che la via per ridurre le tasse transita da Bruxelles, più che da Montecitorio: «Questo governo, in particolare, sconta il fatto che, quando si è insediato, il Paese stava attraversando una fase in cui lo spread era ancora molto elevato e non era chiaro cosa pensassero i mercati dell’Italia, perché non si capiva quale fosse il loro giudizio sull’Europa e sulla la crisi. Così Letta, i cui rapporti con la cancelliera tedesca Angela Merkel non erano che agli inizi, non è riuscito a rinegoziare con la Troika (Bce, Fmi e Ue) gli impegni sul bilancio. A quel punto, non gli è rimasta alternativa se non quella di fare i “compiti a casa”, provando a ridurre un debito pubblico divenuto ormai insostenibile se parametrato al Pil».
Abbattere le tasse sul lavoro si può, ma è più facile a dirsi che a farsi. Anche per il governo Letta. E perché sia così difficile ridurre il peso del fisco in Italia lo spiega a tempi.it Luigino Bruni, economista ed editorialista di Avvenire, chiarendo che la via per ridurre le tasse transita da Bruxelles, più che da Montecitorio: «Questo governo, in particolare, sconta il fatto che, quando si è insediato, il Paese stava attraversando una fase in cui lo spread era ancora molto elevato e non era chiaro cosa pensassero i mercati dell’Italia, perché non si capiva quale fosse il loro giudizio sull’Europa e sulla la crisi. Così Letta, i cui rapporti con la cancelliera tedesca Angela Merkel non erano che agli inizi, non è riuscito a rinegoziare con la Troika (Bce, Fmi e Ue) gli impegni sul bilancio. A quel punto, non gli è rimasta alternativa se non quella di fare i “compiti a casa”, provando a ridurre un debito pubblico divenuto ormai insostenibile se parametrato al Pil». Luigino Bruni, docente di Economia politica alla Lumsa di Roma, è uno dei principali sostenitori dell’economia di comunione e della finanza con un cuore, oltre che con un cervello. Della finanza che guarda in faccia le persone, che le considera come tali e non semplici numeri dai quali realizzare profitti e speculazioni. Il crack di Lehman Brothers del 2008 è uno degli esempi più significativi della finanza rapace e bulimica alla quale si possono contrapporre nuovi modelli. L’obiettivo non è semplice da raggiungere e può essere centrato prima di tutto se se si fa affidamento su manager onesti. Per questo il professor Bruni si è fatto promotore nella sua università di un’iniziativa unica: il giuramento per i neolaureati in economia. Un modo per solennizzare l’impegno dei futuri operatori economici al rispetto delle regole e delle persone.
Luigino Bruni, docente di Economia politica alla Lumsa di Roma, è uno dei principali sostenitori dell’economia di comunione e della finanza con un cuore, oltre che con un cervello. Della finanza che guarda in faccia le persone, che le considera come tali e non semplici numeri dai quali realizzare profitti e speculazioni. Il crack di Lehman Brothers del 2008 è uno degli esempi più significativi della finanza rapace e bulimica alla quale si possono contrapporre nuovi modelli. L’obiettivo non è semplice da raggiungere e può essere centrato prima di tutto se se si fa affidamento su manager onesti. Per questo il professor Bruni si è fatto promotore nella sua università di un’iniziativa unica: il giuramento per i neolaureati in economia. Un modo per solennizzare l’impegno dei futuri operatori economici al rispetto delle regole e delle persone. Il grido del profeta Amos, come accade spesso con i profeti biblici (e con tutti i profeti e i carismi), ci invita con forza a riflettere, e poi ad agire, su alcune forme di ingiustizia antiche, profonde e gravi della storia dell'uomo. Amos parla di mercanti e di poveri, di commercianti e di schiavi, e, aspetto molto importante e di estrema attualità, mette gli uni (i mercanti) in rapporto agli altri (poveri-schiavi), a ricordarci che la povertà non è uno status individuale o una faccenda privata dei poveri, ma dipende anche, e oggi soprattutto, dalla incapacità di produrre ricchezza, da modi sbagliati di arricchirsi, dalla non condivisione.
Il grido del profeta Amos, come accade spesso con i profeti biblici (e con tutti i profeti e i carismi), ci invita con forza a riflettere, e poi ad agire, su alcune forme di ingiustizia antiche, profonde e gravi della storia dell'uomo. Amos parla di mercanti e di poveri, di commercianti e di schiavi, e, aspetto molto importante e di estrema attualità, mette gli uni (i mercanti) in rapporto agli altri (poveri-schiavi), a ricordarci che la povertà non è uno status individuale o una faccenda privata dei poveri, ma dipende anche, e oggi soprattutto, dalla incapacità di produrre ricchezza, da modi sbagliati di arricchirsi, dalla non condivisione. ricostruiscono relazioni, gli interventi in termini di reddito, beni pubblici e meritori restano spesso inefficaci - come tanti decenni di aiuti pubblici, anche in Europa, ci stanno mostrando. Occorre cambiare. I carismi, in particolare, dicono che prima della povertà (come categoria) esistono i poveri, e senza l'incontro con la persona del povero, la povertà non si cura - al massimo la si può gestire, immunizzandosi da essa. La fraternità francescana ha un momento fondativo quando Francesco abbraccia e bacia il lebbroso di Assisi. La cura tipica della fraternità non è mai immune, ma si lascia contaminare dal povero, che quindi diventa veramente fratello. Solo i carismi sollevano veramente, ripetendo nei secoli 'Il Magnificat', e in modo sostenibile e duraturo, "dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i prìncipi, tra i prìncipi del suo popolo".
ricostruiscono relazioni, gli interventi in termini di reddito, beni pubblici e meritori restano spesso inefficaci - come tanti decenni di aiuti pubblici, anche in Europa, ci stanno mostrando. Occorre cambiare. I carismi, in particolare, dicono che prima della povertà (come categoria) esistono i poveri, e senza l'incontro con la persona del povero, la povertà non si cura - al massimo la si può gestire, immunizzandosi da essa. La fraternità francescana ha un momento fondativo quando Francesco abbraccia e bacia il lebbroso di Assisi. La cura tipica della fraternità non è mai immune, ma si lascia contaminare dal povero, che quindi diventa veramente fratello. Solo i carismi sollevano veramente, ripetendo nei secoli 'Il Magnificat', e in modo sostenibile e duraturo, "dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i prìncipi, tra i prìncipi del suo popolo". Per uscire dalla crisi economica non basta incentivare le assunzioni dei giovani. E nemmeno abbattere il cuneo fiscale, di cui pure c’è bisogno. Secondo l’economista Luigino Bruni, editorialista di Avvenire, c’è solo una cosa da fare: rimboccarsi le maniche e costruire.
Per uscire dalla crisi economica non basta incentivare le assunzioni dei giovani. E nemmeno abbattere il cuneo fiscale, di cui pure c’è bisogno. Secondo l’economista Luigino Bruni, editorialista di Avvenire, c’è solo una cosa da fare: rimboccarsi le maniche e costruire. Martedì 3 settembre dalle 16.00 alle 16.30, Luigino Bruni è invitato negli studi di Rai di Roma per presentare il suo ultimo libro,
Martedì 3 settembre dalle 16.00 alle 16.30, Luigino Bruni è invitato negli studi di Rai di Roma per presentare il suo ultimo libro,  «Il narcisismo e il consumismo portano a desideri malati, e chi perde il desiderio “sano” cade in depressione».  Sabato 29 giugno Luigino Bruni, 47 anni, cattolico, economista fra i più noti in Italia, interviene all’iniziativa “
«Il narcisismo e il consumismo portano a desideri malati, e chi perde il desiderio “sano” cade in depressione».  Sabato 29 giugno Luigino Bruni, 47 anni, cattolico, economista fra i più noti in Italia, interviene all’iniziativa “ Caro direttore, vorrei tornare sul tema sollevato nell’articolo di Luigino Bruni dal titolo "
Caro direttore, vorrei tornare sul tema sollevato nell’articolo di Luigino Bruni dal titolo " Luigino Bruni, nato a Roccafluvione, è coordinatore della commissione internazionale dell’Economia di Comunione, modello alternativo di economia etica, nato negli anni Novanta all’interno del movimento dei focolari fondato da Chiara Lubich, basato sul recupero delle dimensioni relazionali come il dono, la reciprocità e la gratuità nella logica di mercato. E’ anche professore ordinario di politica economica presso l’università LUMSA di Roma e professore di economia politica presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano, e promotore della, da poco fondata,
Luigino Bruni, nato a Roccafluvione, è coordinatore della commissione internazionale dell’Economia di Comunione, modello alternativo di economia etica, nato negli anni Novanta all’interno del movimento dei focolari fondato da Chiara Lubich, basato sul recupero delle dimensioni relazionali come il dono, la reciprocità e la gratuità nella logica di mercato. E’ anche professore ordinario di politica economica presso l’università LUMSA di Roma e professore di economia politica presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano, e promotore della, da poco fondata, 