Il capitalismo erode i «beni di tutti»

L’attuale modello economico genera povertà anche nei Paesi ricchi: un dramma per tanti

di Luigino Bruni

pubblicato su Mondo e Missione, aprile 2012

LOGO_Mondo_e_missioneSono in viaggio da Milano a Bergamo. Il treno è in ritardo, strapieno; trovo un posto libero, mi siedo ma subito mi accorgo che il sedile è zuppo d’acqua. Faccio il viaggio in piedi e sperimento una situazione di disagio non troppo diversa (sebbene meno drammatica) da quelle che ho provato quando ho dovuto prendere il treno in alcuni Paesi del Sud del mondo. Poche ora prima ero, invece, arrivato a Milano con una Freccia rossa a 300 km all’ora, con i massimi comfort e con la massima puntualità. E con il massimo prezzo.

L’Italia sta seguendo la sorte di tanti altri Paesi a tradizione comunitaria e solidarista, che, per una ventata ideologica forte proveniente dagli Usa, negli ultimi due decenni hanno imboccato decisamente la strada del libero mercato capitalistico, una strada rilanciata in grande stile anche dal necessario, e per altri versi provvidenziale, governo Monti.

La mia esperienza di viaggio ben rappresenta la direzione verso la quale l’Occidente si sta muovendo: un crescente divario tra classi ricche e classi popolari o povere, crescenti comfort e opportunità per chi è dentro il club dei benestanti e forti, crescenti disagi e nuove forme di povertà per chi è fuori da questa élite. Una tendenza confermata dai dati sulla diseguaglianza, che mostrano come la ricchezza dell’Italia sia sempre più posseduta da una sempre più piccola frazione di popolazione (meno del 10 per cento detiene più del 50 per cento della ricchezza).

Il capitalismo di nuova generazione (quello individualista-finanziario) sta infatti mutando velocemente forma. Fino all’inizio degli anni Ottanta, la geopolitica del mondo era divisa essenzialmente tra Paesi più ricchi e Paesi più poveri, poiché, soprattutto per il Nord del mondo (eccettuando gli Usa), la crescita del Pil era anche una crescita media del benessere della popolazione. L’economia di mercato includeva fasce crescenti di esclusi e li portava a buone condizioni di vita. Da un quarto di secolo, invece, il capitalismo ha cambiato volto, e la povertà torna ad essere creata dal capitalismo stesso: non solo nei Paesi del Sud, ma anche all’interno dei Paesi “ricchi”. In essi assistiamo al fenomeno triste delle mense Caritas popolate dall’ex ceto medio, e al preoccupante aumento dei furti alimentari nei supermercati.

Un primo elemento importante in questo cambiamento lo gioca la finanza, poiché il capitalismo finanziario fa più ricco chi è già ricco. Un secondo elemento cruciale, su cui si riflette poco, è la progressiva diminuzione dei beni pubblici nei Paesi del Nord. Avere 1.000 euro al mese in una città che offre beni pubblici nei servizi essenziali (sanità, scuola, asili, assistenza anziani, trasporti...) è ben diverso, in termini di povertà e benessere, dall’avere 1.000 euro in mancanza di questi. Oggi la popolazione europea si sta impoverendo perché l’aumentare del mercato e della sua logica (domanda pagante) sottrae spazio ai beni pubblici che diventano privati e, quindi, accessibili solo a chi è dentro il club. Questo ha effetti devastanti sull’istruzione dei giovani più poveri e sulla mobilità sociale. Quando un Paese taglia i beni pubblici, anche se aumenta il reddito medio (come accade in Paesi come il Cile, ad esempio), di fatto impoverisce la fascia medio-bassa, che può ritrovarsi con più reddito in busta paga, ma più povera. La povertà e la ricchezza non sono faccende individuali: sono rapporti tra persone, beni (o mali) relazionali. E se l’avanzare del mercato riduce i beni pubblici, questo finisce per impoverire e affamare la gente.


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