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di Luigino Bruni
Pubblicato su Avvenire il 12/04/2020
"Sporco sono, Milena, infinitamente sporco, perciò faccio tanto chiasso per la purezza. Nessuno canta così puro come coloro che sono nel più profondo inferno: è il loro canto che scambiamo per i cori degli angeli"
Franz Kafka, Lettere a Milena
Il Salmo 3 è uno stupendo commento alla passione, morte e resurrezione di Gesù, dove è contenuta una delle preghiere più umane e grandi della Bibbia.
Risorgere, prima di essere una verità della fede cristiana, è una esperienza antropologica fondamentale. Fa parte del repertorio umano, è un esercizio che gli uomini e le donne sanno fare, è gesto essenziale. L’homo sapiens è animale capace di resurrezione. Lo vediamo anche in quel segno ineffabile ma reale che intravvediamo nell’ultimo sguardo di chi abbiamo amato, e lì sentiamo che quel saluto non è l’ultimo. E quando la morte impara a stare al suo penultimo posto – e ci vuole l’intera esistenza per impararlo – diventa “sorella morte”. Se gli uomini e le donne non fossero morti e risorti molte volte, se non l’avessero pregata e attesa per secoli, non saremmo stati capaci di riconoscere quella Resurrezione, simile e diversa, del primo giorno dopo il Sabato. Ci avrebbe chiamato per nome e noi avremmo confuso la sua voce con quella del custode del giardino.
[fulltext] =>Dopo i primi due salmi introduttivi, salmi di benedizioni e di beatitudini, con il Salmo 3 entriamo nel territorio della preghiera. Questo salmo è attribuito a Davide, e ha un titolo: “Salmo di Davide. Quando fuggiva davanti al figlio Assalonne”. Quell’antico scriba che appose questo titolo conosceva bene la storia di Davide, e quindi collocò questa preghiera in uno dei momenti più tremendi della vita del re di Gerusalemme: l’insurrezione di suo figlio Assalonne. Al di là della (dubbia) storicità di questa intestazione, il titolo del salmo ci dice comunque cose molto importanti – è bene non scartare nulla della Bibbia. Dal Secondo libro di Samuele sappiamo che in seguito all’insurrezione di Assalonne – il principe bellissimo dai capelli stupendi – Davide dovette fuggire da Gerusalemme: <Tutta la terra piangeva con alte grida. Tutto il popolo passava, anche il re attendeva di passare il torrente Cedron> (2 Sam 15,23). Un esodo all’incontrario, una fuga non verso una pasqua ma verso una passione: <Davide saliva l'erta del Monte degli Ulivi, saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi scalzi> (15,30). La via dolorosa del re più amato di tutti.
È in questo contesto che il salmista canta: <Signore, quanti sono i miei avversari! Molti contro di me insorgono. Molti dicono della mia vita: “Per lui non c'è salvezza in Dio!”> (Salmo 3,2-3). Siamo in un quadro di forte pericolo, il salmista si sente assediato da nemici e avversari. In questa difficoltà concreta e in questa paura, dentro quell’uomo si insinua anche una domanda religiosa. Nella Bibbia le prove più grandi non sono mai quelle soltanto materiali; è il loro significato religioso e spirituale che le fa diventare qualcosa di grave e spesso di tremendo. L’uomo biblico non ha paura tanto del dolore e della morte, ma del dolore e della morte interpretati come giudizio di Dio e quindi condanna morale. Quella minaccia di morte diventa allora una domanda sulla giustizia della vita dell’autore del salmo, una domanda immediatamente religiosa: <Per lui non c’è salvezza in Dio>. È la non-salvezza l’inferno della Bibbia, una salvezza che però non va collocata nella vita futura; nel mondo biblico il paradiso si trova sotto il sole, la terra promessa è un brano della nostra terra. La mancanza di salvezza è anche il non intervento di Dio nella sventura. YHWH è un Dio vero e non un idolo stupido perché è un Dio concreto, che quindi interviene nella vita; e se non fa nulla è segno che l’uomo/popolo in difficoltà non merita l’intervento di Dio a causa di una qualche colpa. Il silenzio di Dio diventa segnale di colpevolezza: <E noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato> (Isaia 53,4). Non si capisce la polemica teologica ed etica di Giobbe con i suoi amici (e con Dio) se non si ha ben presente che Giobbe vuole sfidare questa idea religiosa molto diffusa nel mondo antico e anche in alcuni brani biblici. La stessa sfida la ritroviamo anche nel Salmo 3.
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L’anima e la cetra/3 - La paternità è l’arte meravigliosa di schiodare i figli dalle loro croci
di Luigino Bruni
Pubblicato su Avvenire il 12/04/2020
"Sporco sono, Milena, infinitamente sporco, perciò faccio tanto chiasso per la purezza. Nessuno canta così puro come coloro che sono nel più profondo inferno: è il loro canto che scambiamo per i cori degli angeli"
Franz Kafka, Lettere a Milena
Il Salmo 3 è uno stupendo commento alla passione, morte e resurrezione di Gesù, dove è contenuta una delle preghiere più umane e grandi della Bibbia.
Risorgere, prima di essere una verità della fede cristiana, è una esperienza antropologica fondamentale. Fa parte del repertorio umano, è un esercizio che gli uomini e le donne sanno fare, è gesto essenziale. L’homo sapiens è animale capace di resurrezione. Lo vediamo anche in quel segno ineffabile ma reale che intravvediamo nell’ultimo sguardo di chi abbiamo amato, e lì sentiamo che quel saluto non è l’ultimo. E quando la morte impara a stare al suo penultimo posto – e ci vuole l’intera esistenza per impararlo – diventa “sorella morte”. Se gli uomini e le donne non fossero morti e risorti molte volte, se non l’avessero pregata e attesa per secoli, non saremmo stati capaci di riconoscere quella Resurrezione, simile e diversa, del primo giorno dopo il Sabato. Ci avrebbe chiamato per nome e noi avremmo confuso la sua voce con quella del custode del giardino.
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di Luigino Bruni
Pubblicato su Avvenire il 05/04/2020
"C’è qualcosa di grandioso nel vivere nella speranza, ma allo stesso tempo c’è in esso qualcosa di profondamente irreale. Diminuisce il valore specifico dell’individuo, che non può mai realizzarsi pienamente, perché l’incompletezza segna le sue imprese".
Gershom Scholem L’idea messianica nell’ebraismo
Il salmo 2 ci porta dentro il grande tema biblico dell’attesa del Messia, e quindi nell’importanza della speranza nei tempi della crisi e della mansuetudine per attraversarla con fortezza.
«Perché le genti sono in tumulto e i popoli cospirano invano?». Con questa domanda inizia il Salmo 2. Una domanda tremenda che i profeti e i sapienti ripetono da millenni: perché nonostante la vocazione alla pace e al benessere iscritta nel cuore di ogni persona e delle comunità, gli uomini continuano a esercitarsi nell’arte della guerra, a seminare e coltivare discordia e inimicizia? Le civiltà restano vive finché non si stancano di ripetere questa domanda.
[fulltext] =>Siamo trasportati dal salmo dentro un ambiente di ribellione, in una congiura di popoli nei confronti di un re – «Spezziamo le catene, gettiamo via da noi il giogo» (2,2). Questo re non è un sovrano qualunque: «E i prìncipi congiurano insieme contro il Signore e il suo unto» (2). Il protagonista del salmo è il Messia, l’unto di YHWH, mistero e anelito di tutta la Bibbia. Il salmo dice che i popoli cospirano «invano», e che di queste congiure «ride Colui che sta nei cieli, il Signore si fa beffe di loro» (4). È molto probabile che il Salmo 2 sia stato scritto dopo l’Esilio, quando la monarchia in Israele non c’era più e il popolo aveva sperimentato la distruzione, la sconfitta, la deportazione. Aveva sentito sulla propria pelle la forza tremenda delle trame di potere e di conquista dei popoli, e lì aveva capito che la verità del loro Dio non coincideva con la vittoria sui nemici. L’esilio fu infatti il grande tempo in cui gli ebrei impararono che un Dio sconfitto può restare un Dio vero.
Perché allora quell’«invano»? Nonostante l’esperienza della sconfitta e della violenza che prevale sulla pace, la Bibbia qui e altrove annuncia l’avvento di un Messia, e quindi di un tempo nuovo finalmente diverso, giusto e buono. Più la realtà si allontana dal tempo messianico, più occorre annunciarlo. Credere e affermare una verità quando la storia e il presente dicono tutt’altro: è questo il vero ruolo della grande spiritualità, che è sempre incarnata, che parla della nostra vita soprattutto nei tempi nei quali l’evidenza dice l’opposto delle sue parole. È negli esili che si fanno i sogni più grandi.
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di Luigino Bruni
pubblicato su Avvenire il 29/03/2020
Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte.È come albero piantato lungo corsi d'acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene.Non così, non così gli empi,
ma come pula che il vento disperde;perciò non si alzeranno i malvagi nel giudizio
né i peccatori nell'assemblea dei giusti,poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre i malvagi svaniscono nel nulla. (Salmo 1)I salmi sono un concentrato dell’intera Bibbia. Oggi iniziamo il loro commento, ponendoci nel bivio tra la via del giusto e quella dell’empio.
Iniziamo il commento del Libro dei salmi. Ma i salmi non si commentano. Si pregano, si cantano, si urlano. Sono troppo umani, troppo intrisi di dolore e di amore, troppo impastati di uomo e di Dio. Eppure li commenteremo, coscienti che resteremo alla periferia del loro mistero. Insieme ai vangeli, i Salmi sono il libro più noto e tradotto della Bibbia. Sono parte essenziale e amatissima della Bibbia, anche perché sono una sorta di suo distillato, con l’aggiunta della poesia, del canto e della liturgia. In essi si incontrano i profeti, la Legge, i testi sapienziali, Giobbe - e in questi si incontrano i salmi. La composizione dei salmi ha accompagnato tutta la storia di Israele, che con essa si interseca e intreccia. I primi risalgono (almeno) all’epoca di Davide, gli ultimi giungono fino alle soglie del Nuovo Testamento.
[fulltext] =>I vangeli potrebbero essere raccontati attraverso le citazioni, dirette e indirette, dei salmi in essi contenute. Senza i salmi non capiamo il monachesimo, che nasce e rinasce dalla preghiera e dal canto dei salmi, che sono il ritmo della sua liturgia. Lutero e Calvino ne hanno scritto commenti memorabili - sta qui una strana affinità tra chiese riformate e monachesimo. Sono ancora il respiro della preghiera quotidiana delle comunità religiose e di milioni di credenti. L’Europa - la sua arte, la sua musica, la sua spiritualità - è stata fatta anche dalla recita e dal canto dei salmi.
Non sono trattati di teologia né di etica: sono preghiere. E come tutte le preghiere autentiche sono nati dal dolore e dall’amore della gente, dal cuore del popolo e dalla sua fede. Parole diverse e più grandi che uomini e donne si sono ritrovate dentro come dono e poi le hanno usate per innalzare lodi, per gridare disperazioni, per non morire di dolore quando la preghiera restava l’ultimo aggancio con la vita. Le preghiere più vere non si scrivono: arrivano, si trovano, appaiono, emergono nell’anima e poi, qualche volta, arrivano fino alla cetra e al tamburello. E se è vero che la preghiera fa parte del repertorio di base dell’umano, allora tutti possiamo comprendere i salmi, tutti li possiamo cantare.
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I salmi sono via alla preghiera pure per chi non crede e non trova parole
di Luigino Bruni
pubblicato su Avvenire il 29/03/2020
Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte.È come albero piantato lungo corsi d'acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene.Non così, non così gli empi,
ma come pula che il vento disperde;perciò non si alzeranno i malvagi nel giudizio
né i peccatori nell'assemblea dei giusti,poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre i malvagi svaniscono nel nulla. (Salmo 1)I salmi sono un concentrato dell’intera Bibbia. Oggi iniziamo il loro commento, ponendoci nel bivio tra la via del giusto e quella dell’empio.
Iniziamo il commento del Libro dei salmi. Ma i salmi non si commentano. Si pregano, si cantano, si urlano. Sono troppo umani, troppo intrisi di dolore e di amore, troppo impastati di uomo e di Dio. Eppure li commenteremo, coscienti che resteremo alla periferia del loro mistero. Insieme ai vangeli, i Salmi sono il libro più noto e tradotto della Bibbia. Sono parte essenziale e amatissima della Bibbia, anche perché sono una sorta di suo distillato, con l’aggiunta della poesia, del canto e della liturgia. In essi si incontrano i profeti, la Legge, i testi sapienziali, Giobbe - e in questi si incontrano i salmi. La composizione dei salmi ha accompagnato tutta la storia di Israele, che con essa si interseca e intreccia. I primi risalgono (almeno) all’epoca di Davide, gli ultimi giungono fino alle soglie del Nuovo Testamento.
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