L’abbecedario della sussidiarietà

L’abbecedario della sussidiarietà

ContrEconomia/2-Nel Vangelo e non nelle business school s’insegna a moltiplicare pani e pesci.

di Luigino Bruni

Pubblicato su Avvenire il 12/03/2023

"Dio è il Dio del silenzio, perché solo il silenzio di Dio è la condizione del rischio e della libertà."

Andrè Neher, L’esilio della parola

Questo principio sta alla base e richiama la legge di molte relazioni umane, incluse le relazioni aziendali e l’arte dei consulenti, che dovrebbero agire solo al termine di un lungo processo, di ascolto.

Alcuni errori gravi nel rapporto tra le imprese e i loro consulenti hanno a che fare con la sussidiarietà, una parola assente nei corsi di formazione per manager delle business school, in genere lontana anche dalla teoria e dalla prassi delle varie forme della consulenza. Sussidiarietà è parola prima di ogni buona comunità e società. È essenzialmente un’indicazione sull’ordine e sulle priorità di azione quando gli interventi necessari per gestire un problema sono più di uno e gli attori si trovano a distanze diverse dal problema da risolvere. La raccomandazione del principio di sussidiarietà è in realtà semplice: il primo che deve agire ed essere ascoltato è quello più vicino al problema, e tutti gli altri attori devono intervenire solo dopo per aiutare (in “sussidio”) chi è più prossimo alla situazione da gestire. Le applicazioni più note del principio di sussidiarietà sono quelle politiche (verticali e orizzontali), talmente note che si finisce per dimenticare che la sussidiarietà ha una portata molto più vasta. 

L’origine della sussidiarietà si trova nel pensiero di Aristotele e poi di san Tommaso d’Aquino. Ma la sussidiarietà la troviamo già nella Bibbia, dove il primo ad applicarla è Dio stesso nei suoi rapporti con gli uomini e le donne. Perché non si sostituisce alla loro responsabilità ma li “aiuta” (sussidia) a realizzare la loro vocazione, e poi si fa da parte, tace, si ritrae (tzimtzum), si ritira, esce di scena - è anche questo il significato del “settimo giorno” della creazione e dello shabbat (Genesi 2,2). È il Dio della “seconda battuta”, dell’“ultima istanza”, che interviene solo dopo che abbiamo fatto tutta la nostra parte per risolvere i nostri problemi. Tanto che in alcuni libri biblici – da Ester al Cantico, da Rut a Qoelet – l’azione diretta di Dio è quasi assente, per far spazio a quelle degli uomini e ancor più delle donne. Nella sussidiarietà, infatti, c’è qualcosa di femminile. Il Dio della Bibbia ci accompagna senza prendere il nostro posto, perché, diversamente dagli idoli, non abusa del suo potere, lo usa in modo sussidiario.

Nella Bibbia, poi, troviamo anche episodi dove la sussidiarietà è esplicita. Uno riguarda la costruzione del tempio di Salomone. A un certo punto, la responsabilità dell’opera passa dai sacerdoti ai lavoratori, «ai muratori, agli scalpellini», e «il denaro veniva consegnato nelle mani degli esecutori dei lavori» (2 Re 12,12-13). La gestione del processo produttivo viene così tolta a chi era più distante e con meno competenze (i sacerdoti) e data ai lavoratori, coloro più vicini all’opera – a ricordarci anche che senza sussidiarietà non abbiamo mai laicità ma solo clericalismo. La sussidiarietà la ritroviamo, poi, anche nei Vangeli, in particolare nel grande racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci: «Gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla…”. Ma egli rispose loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Gli dissero: “Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane?”. Ma egli disse loro: “Quanti pani avete? Andate a vedere”. Si informarono e dissero: “Cinque pani e due pesci”» (Mc 6,35 ss).

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