«Per uscire dalla crisi, la politica non basta. Non bisogna farsi rubare la speranza»

Intervista all’economista Luigino Bruni: «Non bastano le assunzioni agevolate per i giovani né la riduzione del cuneo fiscale, di cui pure c’è bisogno. Serve ricominciare dal basso»

di Matteo Rigamonti

pubblicato su Tempi il 5/09/2013

Logo Tempi itPer uscire dalla crisi economica non basta incentivare le assunzioni dei giovani. E nemmeno abbattere il cuneo fiscale, di cui pure c’è bisogno. Secondo l’economista Luigino Bruni, editorialista di Avvenire, c’è solo una cosa da fare: rimboccarsi le maniche e costruire.

A partire dal basso, con il contributo di ogni singolo protagonista della società civile. Senza commettere l’errore di aspettarsi tutto dalla politica. E senza, come direbbe papa Francesco, farsi «rubare la speranza».

Professore, agevolare con incentivi l’assunzione dei giovani può essere una soluzione per uscire dalla crisi?

Da una crisi come l’attuale non se ne esce con le assunzioni agevolate. L’Italia è l’unico paese sviluppato che sprofonda. E quel che è peggio è che, mentre in Europa si vedono i primi segnali di ripresa, da noi le aziende non assumono più perché manca la domanda. Il nostro primo problema oggi non è assumere, ma non licenziare. Incentivare le assunzioni sarebbe solo un palliativo. Anzi, una presa in giro.

Meglio abbattere il cuneo fiscale?

Sì, ma non dell’uno per cento. Il sistema fiscale italiano, infatti, penalizza troppo il lavoro: la tassazione sul lavoro è al 40 per cento, che è il doppio di quella sulle rendite finanziarie, oggi al 20, e più di quella sul reddito delle imprese, che comunque è al 30 per cento. Una situazione insostenibile in tempi di crisi. Ridurre il cuneo fiscale è un modo per non licenziare chi almeno ha già un lavoro ma rischia di perderlo.

Cos’altro può fare il governo?

Oltre a detassare seriamente il lavoro, dovrebbe sbloccare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese (che fino ad oggi sono stati pagati solo in piccolissima parte, ndr). Senza sostenere l’impresa, infatti, andiamo tutti a fondo. Non capisco poi perché dall’abolizione dell’Imu – cui sono sempre stato assolutamente contrario – siano stati esclusi i negozi, che sono notoriamente in difficoltà. Perché non agevolarli come invece è stato fatto con i capannoni? C’è però un errore in cui non dobbiamo incappare.

Quale sarebbe?

Aspettarci tutto dalla politica. Se c’è una cosa che dobbiamo metterci bene in testa è che alla fine il governo può fare ben poco. Negli ultimi anni si è riposta un’eccessiva fiducia nelle scelte della politica, che avrà avuto un peso all’incirca del 20 per cento sull’andamento della crisi. È l’informazione, la televisione in particolare, che ci ha inculcato a tutti questa aspettativa nei confronti della politica. Ma un governo, al massimo, può solo rimuovere qualche ostacolo, facendo qualche buona legge. Per tutto il resto, invece, serve l’impegno della società civile, di associazioni, sindacati, cooperative, famiglie e imprese. Da questa crisi non si uscirà se non cominciando a costruire dal basso.

Il suo è un invito a fare da sé, a essere ottimisti e guardare avanti?

Nient’affatto. È piuttosto un invito a sapere dove guardare e in che cosa riporre le proprie attese, la propria fiducia e speranza. «Non lasciatevi rubare la speranza», ha detto papa Francesco ai giovani. Il suo è un invito che vale anche per i protagonisti della vita di una società civile alle prese con i problemi di tutti i giorni. La speranza, infatti, «è una grazia, è un dono di Dio», ha detto Francesco. La speranza è «la virtù di chi, sperimentando il conflitto, la lotta quotidiana tra la vita e la morte, tra il bene e il male, crede nella Risurrezione di Cristo, nella vittoria dell’Amore». Fanno molto di più contro la crisi gli inviti del Papa – come anche l’ultimo a digiunare per la Siria – che nemmeno tutte le lamentele di questo mondo.


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