«L'abolizione dell'articolo 18 alimenta la rivalità civile»

Bruni, punto di riferimento dell'economia di comunione, auspica il cambio di rotta «Non è necessario impoverire i diritti di chi è dentro per avvantaggiare chi è fuori»

di Gianpaolo Sarti

pubblicato su “Il Piccolo” il 29/10/2014

Logo Il PiccoloBruni, punto di riferimento dell'economia di comunione, auspica il cambio di rotta «Non è necessario impoverire i diritti di chi è dentro per avvantaggiare chi è fuori»

Si possono creare posti di lavoro? Si può essere contenti a lavorare? Accanto a capitalismo e profitto, Luigino Bruni ha introdotto nei manuali accademici parole come reciprocità, beni relazionali e felicità. Uno che per contrastare il fenomeno del la dipendenza da gioco va nei bar a portare i biliardini al posto delle slot machine. Ordinario di Economia civile e aziendale alla Lumsa, editorialista di Avvenire, è da anni il punto di riferimento scientifico dell'Economia “di comunione", un modello di business ideato da Chiara Lubich, fondatrice del movimento ecclesiale dei Focolarini.

Non ha dubbi, nei giorni in cui divampa lo scontro sul Jobs act, nel dire che il dibattito sul lavoro va  ripensato completamente. E che l'abolizione dell'articolo 18 non è necessaria. Anzi, alimenta la rivalità civile.

 

Professore, l'economia di cui lei parla, basata sui principi di reciprocità e fraternità,incontra resistenze enormi, perché?

Giustizia, attenzione al bene comune e all'ambiente sono concetti che faticano a entrare. Non perché queste categorie siano meno interessanti della competizione, ma perché chi ha in mano il potere capitalistico non ha intenzione di sviluppare queste teorie nelle università, nei centri studi o a dare premi Nobel agli approcci alternativi.

La reciprocità può sopravvivere nel tessuto economico?

Nel Paese esistono almeno due capitalismi: quello che io definisco “stile Lottomatica", dell'azzardo, cioè società anonime che puntano tutto sugli incentivi ai manager, che hanno come obiettivo massimizzare i profitti e basta e che non hanno alcun interesse per il bene comune. E poi c'è l'Italia della piccola media impresa, dei distretti , degli artigiani. Questo capitalismo è fatto di imprenditorialità a base familiare, dal volto umano. Imprese che dovrebbe ro cominciare a raccontarsi di più. Un modello che non è sostenuto.

Cioè?

Guardiamo alla fiscalità: l'azzardo in Italia è tassato al 9%, del tutto esente d'lva, quando invece le Pmi sono tassate al 40%. Cosi si incoraggia il capitalismo sbagliato. Quando parliamo di economia civile ci occupiamo di queste cose, non di no prot.

Nell'economia si discute di merci e servizi. Lei teorìzza i “beni relazionali". Cosa intende?

All'analisi economica del  lavoro e del mercato dobbiamo aggiungere il fatto che la gente insieme al denaro e alla carriera, produce, consuma e cerca relazioni. Ma sul lavoro spesso si soffre. E poi, perché una signora anziana esce di casa quattro volte al giorno per prendere il latte, il pane e la verdura? Per incontrare le persone. L'incontro con il panettiere la nutre come il pane. Però se non vediamo nella teoria economica i rapporti umani, ma solo le merci, non capiamo perché la gente sceglie un lavoro o lo lascia. E perché, nonostante tutto, i piccoli negozi sotto casa resistono.  Li trovano fiducia e dialogo.

Ricerca di felicità, come la chiama lei?

La ricchezza è un mezzo per star bene, ma stiamo costruendo una cultura avara, un mondo in cui si lavora solo per massimizzare i profitti. Si dimentica che invece questi vanno usati per la felicità: i beni diventano benessere se condivisi, perché la vita buona dipende dai rapporti con gli altri, ma questa dimensione non è considerata nell'economia. Non a caso adesso c'è il ritorno del locale, del chilometro zero, dei gruppi di acquisto. Perché la gente è stufa di solitudine, cerca relazioni.

Ed è stufa del precariato. Il premier Matteo Renzi dice che il posto fisso è un'idea da abbandonare. È  d'accordo?

Una certa idea di posto fisso, come si immaginava trent'anni fa, è cambiata. Però nel dibatti to sul lavoro manca un ripensamento totale: non c'è lavoro per tutti e quindi serve una ridistribuzione. Lavorare meno per la vorare tutti. Perché non incentivare il part time per chi ha superato i 55 anni e liberare così nuovi posti per i giovani? A Sessant'anni un operaio non ne può più di stare in fabbrica.

Che cosa ne pensa dell'abolizione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori?

Non è necessario impoverire i diritti di chi è dentro per avvantaggiare chi è fuori, cosi si aumenta la rivalità. Un Paese che non ritrova l'amicizia civile va verso il declino.

Stampa

Articoli Correlati

Un patto solenne che sa di fondazione

Mappa di un "mondo nuovo" e nostalgia del mare

Luigino Bruni: Senza imprenditori, santi e artisti non c'è bene comune

Sobrietà, povertà e gratuità

Per una economia del "già"

Serve un nuovo patto sociale: ecco perché